L’ “Autoritratto con mosche” di Antonio Ligabue rientra pienamente nelle opere dell’artista che più di altre sono state in grado di comunicare quello che era il mondo buio e quasi ossessivo che il pittore ha sempre nascosto dietro la sua arte.
Basta confrontare i diversi autoritratti da esso dipinti per comprendere come gli stessi avessero un significato particolare per l’autore e come venissero utilizzati dallo stesso come espressione di potenza ed aggressività. L’uomo intende confermare il suo essere maschio alfa e lo fa utilizzando la sua pittura, donandosi quell’aurea di ossessiva forza impossibile da ignorare.
L’ “Autoritratto con mosche” di Ligabue ha in comune con tutti gli altri della serie la posa e l’espressione: non ci si può aspettare nulla di diverso se si pensa alla simbologia dietro gli stessi. Sono i piccoli particolari a fare la differenza ed ad esprimere ciò che l’artista sente e percepisce del mondo intorno a sé e per le persone che gli sono vicine in quel particolare periodo storico.

L’Autoritratto con mosche di Antonio Ligabue è parte di una serie di opere tra le più forti ed emozionali dell’artista.
Per comprendere perché la pittura venga interpretata da Ligabue in questo modo è necessario conoscere parte della sua vita: dato in adozione per via dell’estrema povertà della famiglia di origine, vivrà una vita travagliata costellata da molte permanenze in manicomio al fin di tentare di sedare il suo atteggiamento distruttivo ed autodistruttivo.
Autoritratto con Mosche: Antonio Ligabue ed il suo rapporto con il mondo
La pittura è il suo unico conforto e sfogo: nei suoi autoritratti l’artista pone una sorta di vetro tra lui e gli altri ed è su questo che gli insetti dell’ “Autoritratto con mosche” si posano. Esse rappresentano segnali di realtà e di morte, i problemi che attanagliano la sua vita terrena e che lo costringono ad un’esistenza triste e difficile. Non è complicato comprendere che, grazie alla pittura naif caratterizzata da colori intensi e pennellate decise, Antonio Ligabue nasconda le sue fragilità ed il suo vuoto dietro una maschera che spaventa e che vede l’uomo come animale dominante in un contesto spesso ipersessualizzato.
Gli autoritratti in generale funzionano per lui come lo strumento principale per esprimere il proprio stato d’animo del momento, nel quale il “sentimento” viene lasciato esprimere agli animali ed agli insetti che di volta in volta vengono sostituiti nelle opere. In questa in particolare la presenza delle mosche “sul viso” (bisogna ricordare sempre lo schermo che idealmente il maestro pone tra se stesso e la realtà ipotizzando finestre tra lui e gli animali, N.d.R.) rende l’autoritratto uno dei più significativi dal punto di vista dell’espressione del malessere dello stesso: non vi sono infatti connotati positivi ed il colore è posto sulla tela con tutta la forza espressiva e non che il pittore ha potuto mettere in atto.

Osservare i particolari dell’Autoritratto con Mosche di Antonio Ligabue può lasciare un occhio attento senza fiato.
E’ interessante infatti notare, tra le altre cose, non solo come la posizione rimanga sempre la stessa in ogni sua opera ma come in particolare in questo “Autoritratto con mosche” il maestro sia tutt’altro che benevolo nell’approcciare la sua figura che sì, vuole emanare potenza e forza ma che al contempo viene posta davanti all’occhio di chi guarda in tutto il suo crudo difetto. Il rachitismo sviluppato da bambino gli ha lasciato infatti il cranio malformato e Ligabue, senza dubbio, non fa niente per coprire questo aspetto, ma accentua ogni singola imperfezione con delle pennellate di colore dure e senza scampo: basta soffermarsi sul particolare degli occhi per rendersi conto di come la sofferenza che lo stesso portava continuamente con sé abbia sempre trovato lo sfogo diretto nella pittura.
E’ incredibile pensare come, tra ossessioni e rituali questo uomo che è sempre vissuto ai margini della società ed all’interno di istituti di igiene mentale, Antonio Ligabue sia stato capace di divenire uno dei maestri contemporanei più forti nell’espressione artistica nonostante una sua debolezza interiore congenita.