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  • Bernardo Strozzi, pittore genovese e la sua “Cuoca”
Vittorio Russo Delmonte
martedì, 22 Maggio 2018 / Pubblicato il Artisti

Bernardo Strozzi, pittore genovese e la sua “Cuoca”

Bernardo Strozzi è uno dei maggiori esponenti del Barocco Genovese: a differenza di altri artisti dei suoi tempi mise da parte il sacro per dedicarsi alla riproduzione di scene di vita reale.

Bernardo Stozzi, pittore genovese, è un artista che all’interno dei suoi quadri dipinge soggetti reali, concreti e rappresenta scene di vita quotidiana preferendole a quelle sacre di santi e madonne o severe e ieratiche dei ritratti di famiglia che tanto erano in voga al suo tempo. Ne costituisce mirabile testimonianza “La Cuoca”, la sua opera più nota, in cui l’autore rivela in maniera dirompente tutto il suo vigoroso talento. Come accade per tutti i capolavori la sua gestazione nasce da lontano nel tempo, rivelandosi una sorta di summa di tutte le sue precedenti esperienze umane ed artistiche legate al suo latente bisogno di ribellione.

Entrato 17 enne nel Convento di S. Barnaba “Il Cappuccino”, il giovane trova nella pittura il modo più creativo per sfogare la propria irruente e inquieta passione. Alla morte del padre, avvenuta circa un decennio più tardi, lascerà le vesti religiose con la scusa di aiutare la madre a sopravvivere per dedicarsi alla sua vera vocazione: la pittura. Affascinato dalla morbida e sensuale carnalità di Rubens, Bernardo Strozzi elabora un’esperienza artistica del tutto personale diventando, con giusto merito, uno dei più apprezzati maestri del Seicento genovese, il secolo del Barocco. Un’altra influenza palese nell’arte del maestro è senza dubbio legata al lavoro di Federico Barocci, l’artista urbinate del quale il Bernardo Strozzi, pittore genovese, può ammirare dal vivo la “Crocifissione” presente nella cattedrale di san Lorenzo.

Cattedrale San Lorenzo Genova

Particolare della Cattedrale San Lorenzo Genova

A tratti irriverente nel rappresentare soggetti religiosi femminili come fossero mondane e onirico nei riprodurre ritratti di privati con volti allucinati, Strozzi acquista credito presso i suoi prestigiosi committenti, le ricchissime famiglie del patriziato della Superba. Ma fedele al vecchio adagio “Nemo Propheta in patria est” è costretto a fuggire dalla sua città natale, a causa delle vertenze con il Clero che non gli aveva perdonato la sua scelta artistica, alla volta di Venezia dove sarà ribattezzato “Il Prete Genovese”. La città lagunare venne da lui scelta non solo per le ricche committenze,  ma anche per poter ammirare e conoscere le opere del Veronese e del Caravaggio, vero ispiratore del suo realismo.

Nel 1625, poco prima della fuga nella Repubblica rivale, Bernardo dipinge forse la sua opera più famosa, considerabile senz’altro il suo capolavoro: “La Cuoca”:  un olio su tela di cm 176 x 185. Il celeberrimo “La Cuoca” che forse sarebbe più corretto ribattezzare “la Serva” o “la Sguattera”, è il quadro che permette a Bernardo Strozzi, pittore genovese, di tracciare la sua strada e di siglare con la sua inconfondibile e carnale pennellata il suo tempo fino a diventarne protagonista.

Si tratta del primo affermarsi di quel naturalismo di matrice caravaggesca che costituiva l’altro polo, dopo quello legato al modello di Rubens, di aggiornamento e ispirazione della scuola locale, cui si unisce la pennellata materica tipica del pittore. Nel quadro custodito nella Galleria di Palazzo Rosso l’artista esce dal seminato: non più personaggi religiosi o sfarzose celebrazioni di ricchi committenti, bensì un soggetto reale, quotidiano, quasi tangibile nella sua genuina morbidezza. Negli inventari del museo dove è tuttora custodito, il quadro compare per la prima volta nel 1683 quando, a farne cenno, è Francesco Brignole Sale, signore della prestigiosa dimora.

La Cuoca di Bernardo Stozzi

La Cuoca di Bernardo Stozzi

“La Cuoca”, per via del proletario soggetto rappresentato, venne ritenuto di poca importanza e non consono al blasone del palazzo e della sua rinomata pinacoteca e di conseguenza la tela, come se non meritasse onorata collocazione, fu trasferita nella villa patrizia di campagna in San Francesco d’Albaro dove rimase per più di un secolo. Solo dal 1874 il quadro, parte della collezione personale della Duchessa di Galliera e da questa donata al Comune di Genova, è entrato a pieno titolo nel pantheon dei capolavori del Barocco genovese custodito degnamente nella sala n. 7 del primo piano nobile del museo.

Qui, appesa alla parete, “La cuoca” con la sua espressione furba di sensuale contadina accoglie i visitatori come fossero ospiti della sua cucina. Li osserva fissi negli occhi mentre spenna volatili, davanti un’oca tra polli e piccioni, con un tacchino appeso alle sue spalle, vicino al focolare mentre dal buio risalta lo scintillare del fuoco che sembra crepitare e proietta i suoi riflessi sulla stagnara in primo piano, nella quale si rispecchiano i bagliori delle braci. Lo sfarzoso contenitore dell’acqua in argento sbalzato, con elaborato manico raffigurante una figura femminile rivela il contesto sotteso della scena: non si tratta di una cucina qualunque bensì di quella di una ricca famiglia patrizia genovese del ‘600 come, ad esempio, quella splendidamente conservata nel Palazzo di Spinola in Pellicceria o nella casa dove avrebbe dimorato oltre un paio di secoli dopo il poeta francese Paul Valery in Salita San Francesco n. 7.

ll suo volto, riscaldato dal fuoco e acceso dalla fatica si accalora di un rosso delicato che fa il paio con lo splendore del corallo che ne impreziosisce il collo, mentre le sue labbra accennano un timido sorriso che risplende, e ancor di più risalta luminoso, nel buio che l’avvolge. Pennellate corpose prodighe di chiaroscuri in cui emerge potente l’influenza fiamminga in genere l’ammirazione per Rubens in particolare con colori intensi e ben definiti.

Una collana di corallo rosso, degna di una nobildonna, orna e valorizza il collo di una serva: si tratta di un semplice vezzo o un neanche tanto celato omaggio alla ricchezza della Superba? Domanda lecita visto che a Genova in particolare il monopolio del corallo aveva reso incredibilmente ricca la famiglia dei Lomellini, la quale aveva fatto fortuna con il commercio del prezioso materiale proveniente dall’isola tunisina di Tabarca da essa posseduta: un nucleo famigliare così ricco da potersi permettere la costruzione di una chiesa patrizia così sfarzosa come quella dell’Annunziata che in qualsiasi altra città europea avrebbe meritato il titolo di Cattedrale.

Un vero e proprio cantiere fucina del Barocco genovese in cui si sono forgiati i principali maestri genovesi compreso Bernardo Strozzi dando vita ad una pittura che diventa protagonista e basta a sé stessa indipendentemente dal soggetto. La luce che illumina le tenebre e porta la bellezza del luminoso sorriso della protagonista e quindi uno stile che irradia pienezza e corposità.

“La cuoca”, come tutte le grandi opere, oltre al significato letterale ne propone uno simbolico: è infatti opinione ormai condivisa e accettata la teoria che sveli anche un significato metaforico. E nello specifico un’allegoria dei quattro elementi, ai quali alluderebbero i volatili per l’aria, l’elaborata stagnara per l’acqua, la “cuoca” per la terra, e la fiamma nel suo crepitare sotto al paiolo, che il maestro dipinge con grande perizia, per il fuoco.

Con quest’opera Bernardo Strozzi, pittore genovese, si stacca dalla tradizione dell’arte sacra per calarsi in quella vena più vera, sincera e popolare iniziata dal Caravaggio, con i suoi personaggi veraci e concreti. Si preferisce l’imperfetta bellezza della natura umana rispetto all’ineffabile purezza divina.

Taggato in: Bernardo Strozzi

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