Un destino da artista che, oltre ad essere scritto nei geni, era anche un’eredità di famiglia, la storia di una commissione mai portata a termine che tormentò gli ultimi anni della sua vita e che gravò anche sugli eredi e una passione parallela a quella dell’arte che lo distrasse troppo a lungo dai suoi lavori. La biografia del Parmigianino, nato e vissuto nella prima metà del Cinquecento, dimostra che l’esistenza dell’artista emiliano fu più travagliata di quello che si pensa.
La Biografia di Parmigianino, il pittore gentile ma distratto
Di aspetto gentile ed elegante, Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, fece di questo suo modo di essere esteriore la cifra stilistica delle sue opere. La grazia dei suoi lineamenti sembra, infatti, riflettersi nei suoi dipinti che hanno inaugurato la corrente manierista che ha nel Parmigianino uno dei migliori esponenti.
L’infanzia e l’apprendistato

La Pala di Bardi dipinta dal Parmigianino non ancora ventenne
Francesco Mazzola nacque a Parma nel 1503. Il padre, Filippo, era un pittore. Ma furono gli zii, Pier Ilario e Michele, anch’essi modesti pittori e tutori dopo la morte del padre, ad avviare allo studio del disegno il piccolo nipote. Inevitabile, in quegli anni, l’influenza del Correggio, il più famoso artista attivo in quegli anni in Emilia.
Appena sedicenne, il Parmigianino diede prova delle sue qualità, dipingendo “San Giovanni che battezza Cristo”. Nel 1521 mentre nel nord Italia imperversava la guerra tra Carlo V e Francesco I, il Parmigianino si trasferì in provincia. A quell’epoca risale la “Pala di Bardi”, ora conservata nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, nel parmense.
I primi lavori
Il primo incarico importante arrivò proprio all’indomani della vittoria sui francesi. Per celebrare lo scampato assedio da parte delle truppe di Francesco I, fu eretta la chiesa della Madonna della Steccata che il Parmigianino contribuì a decorare. In particolare, l’artista dipinse le cappelle laterali. Nella prima affrescò “Sant’Agata e il carnefice”, “Santa Lucia” e “Sant’Apollonia”. Nella seconda cappella affrescò, fra gli altri, i “Due diaconi leggenti”e il “San Vitale”.
Sempre in questi anni gli venne chiesto di realizzare un ciclo di affreschi per il soffitto di una stanza nella Rocca dei Sanvitale a Fontanellato, in provincia di Parma. Qui dipinse la cosiddetta “stufetta” con quattordici lunette con episodi della favola di Diana e Atteone.
Il soggiorno a Roma

Ritratto di Galiazzo Sanvitale del Parmigianino
Nel 1524 avvenne il tanto desiderato trasferimento a Roma. Qui però, benché fosse la sua massima aspirazione, il Parmigianino non riuscì mai ad ottenere commissioni dirette dal Papa. Prima di partire per Roma, dipinse, per presentarsi, tre tavole di cui una era il famosissimo “Autoritratto entro uno specchio convesso”.
Una volta arrivato alla corte del Papa, sempre accompagnato da uno degli zii, donò a Clemente VII i dipinti ma nonostante ciò non ottenne mai incarichi dal pontefice. Lavorò soprattutto con altri personaggi che ruotavano attorno alla corte papale.
Lorenzo Cybo fu uno tra questi, per il quale realizzò un ritratto, oggi conservato a Copenaghen. Il breve soggiorno a Roma, dal 1524 al 1527, servì, tuttavia, al Parmigianino per studiare più da vicino gli artisti più importanti del momento, fra i quali Raffaello, di cui fu considerato il giovane erede.
Il trasferimento a Bologna
Il sacco di Roma costrinse il Parmigianino a scappare e a trasferirsi a Bologna. In questo periodo dipinse il “San Rocco e un donatore” per la basilica di San Petronio, “La Madonna di Santa Margherita” e la “Madonna della Rosa”. Queste ultime due opere considerate dei capolavori proprio per l’eleganza e la raffinatezza del tratto.
Il rientro a Parma e gli affreschi della Steccata

Gli affreschi nella chiesa della Madonna della Steccata
Rientrato a Parma tra il 1530 e il 1531, il Parmigianino fu contattato per un incarico imponente. Gli fu chiesto, infatti, di occuparsi degli affreschi che avrebbero decorato l’abside nella cappella maggiore e il sottarco sul presbiterio nella Chiesa della Madonna della Steccata, eretta anni prima, per celebrare la vittoria sui francesi.
L’interesse per l’alchimia
Il contratto prevedeva un compenso di 400 scudi d’oro e un termine dei lavori entro diciotto mesi. Termine che il Parmigianino non rispettò mai. Nonostante numerose proroghe, pare che in questo periodo l’artista si lasciò distrarre da un altro impegno, quello dell’alchimia. Il mito di trasformare il mercurio in oro lo tenne occupato al punto di trascurare il lavoro.
Il carcere
Il mancato completamento dei lavori portò i committenti ad agire per vie legali. Il Parmigianino fu arrestato e rimase in prigione per quasi due mesi. Dopo la scarcerazione, il pittore si trasferì a Casalmaggiore dove morì nel 1540, a trentasette anni, forse a causa della malaria.
Dopo la morte

Il dipinto del Parmigianino “Madonna di Santa Margherita”
Il caso dei lavori per la Madonna della Steccata segnarono clamorosamente i suoi ultimi anni di vita. Non solo. In punto di morte pare che il Parmigianino avesse nominato eredi i suoi servitori che si ritrovarono a dover fare i conti con il contratto mai rispettato dal pittore. A pochi anni dalla morte del Parmigianino, gli eredi intentarono, perdendo, una causa contro la Confraternita della Steccata. Dovettero quindi pagare centocinquanta scudi. Denaro, che il pittore, si sarebbe intascato di troppo.
La fama
La fama del Parmigianino fu buona già quando il pittore era ancora in vita. I suoi contemporanei, infatti, gli riconoscevano quello stile e quella ricercatezza del tratto che caratterizzavano le sue opere. Tra il Settecento e l’Ottocento, la considerazione del Parmigianino calò. Gli esperti del periodo gli contestavano l’eccessiva affettazione dei suoi dipinti. La fama crebbe definitivamente nel Novecento quando ci fu un generale aumento di interesse per la corrente manierista e il Parmigianino entrò di diritto nell’albo dei più grandi pittori e artisti di tutti i tempi, riscoperto in età moderna e decisamente rivalutato, nella preziosità delle sue opere e nella ecletticità del suo genio.