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  • L’arte romana. Da pericolosa ad arte di governo
Alessandro Trizio
Alessandro Trizio
mercoledì, 08 Agosto 2018 / Pubblicato il Storia

L’arte romana. Da pericolosa ad arte di governo

Quando si parla di antica Roma si pensa quasi esclusivamente ad armi e battaglie. Chi approfondisce un po’ di più studia le grandi doti politiche dei romani di allora. Usi e costumi sono alla fine molto ridotti nell’interesse comune. Quasi nessuno pensa all’impero romano come una base di partenza di produzione di arte. E forse non hanno tutti i torti per una parte della storia dell’antica Roma.

E’ effettivamente solo a partire dal II secolo a.C. che possiamo indicare la presenza di un’arte romana. La Roma repubblicana, composta da un grande organismo politico e militare, non ha tra i suoi obiettivi la conoscenza speculativa ma pensa esclusivamente al pratico potere del mondo. Nella sua fase di espansione, che culmina con la presa completa della penisola e con l’allargamento nel Mediterraneo, non c’è posto per nessuna esperienza estetica nell’ambito della propria cultura, ma anzi con convinzione, in modo preciso, la esclude.

C’è qualcosa che però ha una presenza costante in tutti i periodi romani, l’architettura. E’ una tecnica che ai fini del governo della Res Publica o anche nelle guerre quasi sempre presenti è utilissima al governo. Peraltro è la “religiosità” romana che non propone nessuna immagine, non osserva nessuna devozione ad immagini di elementi sovrannaturali. Gli atti agli dei romani non hanno bisogno la solennità di un tempio.

Non esiste una tradizione e traslazione di immagini come verrà poi legata in futuro nella contemplazione del sacro, quello che viene visto come immagine, come rappresentazione non è di Roma, non è dell’Impero e quindi viene percepito come pericoloso seguirla perché tende a cambiare la continuità della tradizione del costume romano. Il cittadino romano è al contempo due facce della stessa medaglia, soldato e politico. L’attività manuale propria dell’arte non è degna di un cittadino romano e potrebbe portarlo lontano dai suoi doveri, come ricordava con imperio Catone. L’arte raffigurativa è cosa di altri, di stranieri e come tali sono stati sottomessi al potere di Roma e le opere che sono state portate in patria sono il documento ufficiale del valore militare e sociale del romano.

Arte e Roma

L’arte al servizio del governo

Si apre così una nuova linea estetica, ovvero l’arte come insegnamento, arte per immagini per tramandare la potenza del popolo romano, anche chi non sapeva leggere, ed erano tantissimi, con le immagini poteva capire che Roma è potere, che Roma è governo del mondo conosciuto. E’ arte ma soprattutto educazione. Una scultura ad esempio poteva riprodurre non solo l’aspetto fisico dell’uomo ma anche il carattere, il momento della vittoria, portavano nel futuro la memoria di cittadini romani esemplari. L’arte si trasforma quindi da “cosa straniera” a arte di governo: instrumentum regni. Anche un’arte posta alla contemplazione e alla conoscenza della realtà, e fondata su una filosofia del bello, come l’arte greca, può servire, strumentalmente, a dare evidenza ai contenuti storici, etici, politici: non è storia, ma un modo di narrare la storia.

E’ infatti attraverso la Magna Grecia che l’impero romano approccia alla cultura figurativa greca, esattamente nel III secolo. Nel II sono sempre più fitti i rapporti anche grazie alla sottomissione greca ma è finalmente con Augusto che l’arte ufficiale per Roma è il classicismo. Ma insieme, quasi come un’ombra che segue e a volte ricopre sarà la corrente ellenistica a diffondersi in Italia. Roma quindi si trasforma in una base di partenza per un incrocio di storie, di vite e di arte e che diventerà nel tardo antico un puro fermento di idee, di innovazione, di contaminazione, e finalmente l’arte si libererà anche del giogo politico andando sempre più verso la libertà dei sentimenti.

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