In una sala a lei dedicata del Museo di Palazzo Bianco a Genova si trova la statua della Maddalena Penitente un’opera del Canova datata 1793-96 circa.
L’edificio dove è esposta insieme a palazzo Rosso costituisce il polo embrionale dei musei di Strada Nuova, oggi Via Garibaldi, la via resa celebre da Rubens che dal 2006 ospita le maggiori dimore dei Rolli. Entrambi i palazzi appartenevano alla famiglia della marchesa Maria Brignole Sale che era andata in sposa al marchese Raffaele De Ferrari, futuro Duca di Galliera. Questi infatti era fra gli uomini più ricchi del suo tempo. All’inizio aveva fatto fortuna, nel momento in cui i trasporti si stavano evolvendo su strade ferrate, costruendo rotaie per tutta la Francia e, successivamente, affermandosi come banchiere tra i più potenti d’Oltralpe.
Anche la marchesa portava in dote tutto il suo nobile pedigree e seguendo il marito alla corte francese divenne, dopo la regina, la dama più influente del regno. Alla morte del Duca fece rientrare dalle loro residenze parigine dell’Hotel Matignon (oggi sede del primo ministro francese) e dal Palais Meudon (oggi sede del museo della moda) tutta l’inestimabile collezione d’arte per donarla alla città di Genova. E fra le tante e prestigiose opere non poteva mancare anche la Maddalena Penitente del Canova, lo scultore più prestigioso e ricercato del suo tempo.
L’artista trevigiano, esponente di punta del neoclassicismo, si fece rapidamente apprezzare in tutte le corti europee per il suo ambizioso progetto di riproporre in chiave moderna l’antica bellezza delle statue greche, meritandosi così, il più lusinghiero dei titoli, quello di “novello Fidia”.
Egli stesso non ne fa mistero enunciando i suoi modelli e il suo programma:
“Ho letto che gli antichi una volta prodotto un suono erano soliti modularlo alzando e abbassando il tono senza allontanarsi dalle regole dall’armonia. Così deve fare l’artista che lavora ad un nudo”.
Fu proprio la Maddalena Penitente la prima opera del Canova, esposta poi al Salon del 1808 a raggiungere Parigi e, in qualche modo, ad incantare, fra gli altri, niente meno che Napoleone che diventerà il suo più illustre committente.
La statua è realizzata in marmo bianco e rappresenta la peccatrice inginocchiata sopra un masso e addolorata nell’atto del pentimento. Subito di questa visione colpisce il volto dal quale sgorgano le lacrime, con perizia scolpite, che le conferiscono la particolare e sofferente inimitabile espressione.
Il corpo è coperto da una grossolana veste legata alla vita da un cilicio che sembra possa cadere da un momento all’altro e rivelare tutta la sinuosa e peccaminosa bellezza della donna. Le mani si abbandonano esauste sulle gambe e stringono una croce bronzea sulla quale è rivolto lo sguardo addolorato della santa.
A rafforzare questo profondo sentimento di dolore, accanto sulla sinistra è posto un teschio che rammenta la transitorietà dell’esistenza terrena.
Sulle spalle si sciolgono i capelli che lo scultore, con l’intento di renderli più vicini al vero possibile, ha reso leggermente giallognoli. Per ottenere tale suggestivo effetto che contrasta con il chiarore del marmo, Canova dimostra d’intendersi anche di chimica preparando all’uopo una mistura di cera e zolfo.
Sono proprio questi particolari a fare la differenza, dettagli che costituiscono la cifra e il tratto distintivo dell’artista . Per arrivare a tale livello di perfezione Canova si era imposto una ferrea disciplina e si era dotato di un metodo assai rodato che ci viene tramandato dal suo illustre collega veneziano Francesco Hayez che nelle sue “Memorie” che così annota:
« Il Canova faceva in creta il suo modello; poi gettatolo in gesso, affidava il blocco a’ suoi giovani studenti perché lo sbozzassero e allora cominciava l’opera del gran maestro. […] Essi portavano le opere del maestro a tal grado di finitezza che sì sarebbero dette terminate: ma dovevano lasciarvi ancora una piccola grossezza di marmo, la quale era poi lavorata da Canova più o meno secondo quello che questo illustre artista credeva dover fare. Lo studio si componeva di molti locali, tutti pieni di modelli e di statue, e qui era permessa a tutti l’entrata. Il Canova aveva una camera appartata, chiusa ai visitatori, nella quale non entravano che coloro che avessero ottenuto uno speciale permesso. Egli indossava una specie di veste da camera, portava sulla testa un berretto di carta: teneva sempre in mano il martello e lo scalpello anche quando riceveva le visite; parlava lavorando, e di tratto interrompeva il lavoro, rivolgendosi alle persone con cui discorreva”.
In sostanza “il novello Fidia” chiudeva il cerchio eliminando le imperfezioni residue e rifiniva la scultura con gli ultimi e decisivi ritocchi prima di affidarla al lucidatore, il cui compito era quello di conferirle la proverbiale nitida lucentezza.
Nella Maddalena penitente, infatti, Canova lavora il marmo plasmando la materia alla ricerca spasmodica del confine tra perfezione e realtà nell’ambizioso tentativo di raggiungere in scultura gli stessi successi ottenuti dai pittori nei loro quadri.
In quest’opera Canova rivela infatti tutta la sua maestria riuscendo ad armonizzare insieme nella stessa figura dolore, penitenza, bellezza e sensualità, come solo grandi pittori erano riusciti a fare in passato, sprigionando un turbine di emozioni che non lascia indifferente l’osservatore, trasportato da cotanta bellezza.
Ma la bellezza di una donna la puoi solo ammirare, non possedere. Alla stessa maniera la statua della Maddalena fu desiderata e contemplata dai suoi proprietari ma mai posseduta: Il suo primo committente fu Tiberio Roberti, amico del Canova, che infatti ne fu il custode per brevissimo tempo.
E come ogni donna affascinante le sono stati dedicati dei versi. Ne scrive Giovan Andrea Rusteghello nel Sonetto per la Maddalena, l’abate Melchiorre Missirini nel Carme sulla Maddalena Penitente e il duca di Ventignano nei Versi sulla Maddalena.
Pallida, smunta, e con le luci meste,
Ove fonte di lacrime si crea,
Pur bella è sì, che non donna, ma dea
Sembra, dal ciel discesa in mortal veste.
Questo sasso non è; l’aspro tormento,
Il rimorso, il dolor vivono in lei;
Ed i singulti ed i sospir ne sento.
Sonetto per la Maddalena – Giovan Andrea Rusteghello
In difficoltà economica, infatti, Roberti dovette cederla al monsignore veneziano Giuseppe Priuli il quale, a sua volta, non riuscì mai a godere della scultura poiché, causa le tormentate vicende che coinvolsero il Papa e il Vaticano, fu costretto ad abbandonare in fretta e furia Venezia.
L’opera venne poi acquistata da Juliot, membro della Repubblica Cisalpina a Roma, per l’esoso esborso di 1000 zecchini e fu in quel momento che giunse a Parigi. Fu comprata, successivamente, dal Conte Giovanni Battista Sommariva che la espose, prima di trasferirla a Milano, nella sua dimora e alla già citata esposizione parigina. Ma anche nella città meneghina non rimase a lungo perché nel 1839 venne venduta al marchese Aguado e fece nuovamente ritorno nella di nuovo “Ville Lumière”.
Finalmente la Maddalena Penitente venne acquistata dal Duca di Galliera Raffaele de Ferrari per la considerevole somma di 59000 franchi che la collocò nella sua sfarzosa magione parigina. Le peregrinazioni della preziosa scultura terminarono nel 1889 quando, per volere della Duchessa Maria Brignole-Sale de Ferrari, rimasta nel frattempo vedova, passò “gaudium magnum” alla città di Genova che da allora la ospita, forse fin troppo, gelosamente.