A cura di: Roberto Trizio
Il processo agli Scipioni fu un importantissimo caso giudiziario che infiammò la repubblica romana e coinvolse il più grande generale del suo tempo: Scipione l’Africano.
La famiglia dei Cornelii venne annientata politicamente da una serie di accuse guidate da Catone, il suo peggiore nemico, che mal sopportava lo strapotere e l’influenza conquistata sui campi di battaglia.
Le origini dell’odio
Perchè odiare Scipione l’Africano?
Aveva conquistato la Spagna, sia con una serie di battaglie importanti, sia con una mirabile diplomazia e lungimiranza politica, strappandola alla famiglia dei Barca e privando Annibale di una base importante.
Aveva combattuto nel Nord Africa contro i Cartaginesi, innovando il modo di fare la guerra e soprattutto, vincendo Annibale sul campo di battaglia a Zama. L’unico romano ad aver mai costretto il generale cartaginese a dichiararsi sconfitto.
Ma non solo: sebbene formalmente sotto la guida del fratello Lucio Scipione, era stato sempre l’Africano a guidare la battaglia di Magnesia contro Antioco III e a garantire a Roma una influenza importante nel medioriente.
Scipione dunque aveva accumulato su di sè un grado di potere e degli anni di imperium militare come nessuno mai prima di lui.
Inoltre, aveva il “vizio” politico, di ottenere l’approvazione delle sua misure saltando il Senato e rifacendosi direttamente al popolo, mettendo spesso gli avversari con le spalle al muro.
Ecco perchè la fazione avversa, guidata dall’integerrimo e tradizionalista Catone, decise di farlo fuori attraverso una serie di accuse e di processi mirati.
L’attacco a Glabrione
Il primo bersaglio di Catone fu Manio Acilio Glabrione, un protetto della famiglia degli Scipioni.
Glabrione si candidò alla carica di censore. Era un ruolo estremamente importante in quanto il censore in carica era deputato a verificare che i candidati al Senato avessero i requisiti di onore e decoro sufficienti per poter essere eletti.
I tribuni Publio Sempronio Gracco e Gaio Sempronio Rutilo, accusarono Glabrione di essersi appropriato indebitamente del bottino della battaglia di Magnesia.
Secondo la testimonianza di Catone, loro complice, nell’accampamento del Re Antioco, appena sconfitto, vi erano dei meravigliosi vasi d’oro che non si erano visti sfilare durante il trionfo tributato a Glabrione nè erano stati registrati all’erario. Per cui, doveva esserseli accaparrati senza permesso.
I due comminarono una multa di 100mila assi a Glabrione, che tentò inutilmente di difendersi. Gravemente compromesso, il generale ritirò la sua candidatura a censore, e la fazione capitanata da Catone ottenne un primo importante risultato.
Il processo contro Lucio Cornelio Scipione
Era giunto il momento di alzare il tiro.
Nel 187 a.C. i tribuni Quinto Petilio Spurino e un altro Quinto Petilio, rivolsero le loro accuse contro Lucio Cornelio Scipione, il fratello dell’Africano.
Stavolta venne chiesta la rendicontazione di 500 talenti d’oro, pagati sempre da Antioco III all’indomani della vittoria di Magnesia. Dove erano finiti?
In realtà, Lucio aveva usato quei denari per elargire una paga doppia ai suoi soldati per i servizi che erano stati resi a Roma, ma in Senato egli rispose che non era affatto tenuto a dare spiegazioni.
Dovevano essere considerati come un bottino di guerra, e chiederne conto era quantomeno inopportuno. Ma all’insistenza dei tribuni entrò in scena lo stesso Africano, con una azione passata alla storia.
Entrò con una pergamena che riepilogava precisamente le spese e i movimenti di denaro. E davanti ai senatori la strappò, distruggendola in mille pezzi e invitando i suoi oppositori a cercare fra i brandelli di carta la risposta. Poi lasciò infuriato il Senato.
Fu una reazione di istinto assolutamente non ponderata. Prestò facilmente il fianco agli avversari.
Saltando il Senato, dove vi erano sostenitori dei Cornelii, i tribuni si appellarono direttamente al popolo, imponendo una multa a Lucio, nominalmente generale e responsabile.
Al suo rifiuto, la richiesta di multa si trasformò in una domanda ufficiale di arresto nei confronti del generale, e si aprì un vero e proprio processo, dove un collegio di 10 tribuni avrebbe dovuto approvare o respingere questa drastica misura.
8 tribuni avevano già votato a favore del carcere, quando il nono, Tiberio Sempronio Gracco, futuro padre dei fratelli Gracchi, riconoscendo la malafede, votò contro.
Nonostante questo, la carriera di Lucio era stata irrimediabilmente distrutta e i Cornelii non erano più in grado di reagire.
Il colpo di grazia contro Scipione l’Africano
Nel 186 a.C, l’obiettivo più importante e finale della fazione catoniana era l’Africano stesso.
La sua rovina fu sempre il rapporto con Antioco III, stavolta prima della battaglia di Magnesia. Secondo l’accusa Scipione aveva ottenuto la restituzione di un suo figlio ostaggio del sovrano orientale senza pagare riscatto, in cambio di condizioni di pace assolutamente sbilanciate.
Scipione si era comportato come se potesse decidere autonomamente della guerra e della pace senza dover rendere conto o passare dal Senato di Roma.
L’accusa era fondata? In realtà Scipione aveva veramente incontrato Antioco prima dello scontro, e i due si erano scambiati un gesto di “fair play”: Antioco aveva restituito il figlio a Scipione, e Scipione aveva garantito ad Antioco che in caso di vittoria gli avrebbe risparmiato la vita.
Ma la realtà giudiziaria fu diversa e lontana dai fatti.
Scipione non ebbe la forza di reagire. La sua difesa fu debole, incentrata solamente sul fatto che un Generale che aveva garantito la sopravvivenza di Roma non poteva e non doveva essere messo sotto accusa in quel modo.
Ma la situazione si complicò, fino alla decisione di Scipione di abbandonare non solo il Senato, ma la scena politica. Si ritirò a vita privata a Literno, un piccolo paesino in provincia di Caserta, con i suoi più fedeli legionari veterani.
Morirà qualche anno dopo, non prima di aver pronunciato una frase rimasta eterna: “Ingrata patria, non avrai nemmeno le mie ossa“.
Scipione, invitto sui campi di battaglia, venne distrutto in Senato attraverso cause giudiziarie. E la sua stella declinò nel silenzio e nell’indifferenza generale.