Un dipinto noto per la difficile attribuzione, appartenente al periodo giovanile di Raffaello Sanzio, è certamente la Resurrezione di Cristo, opera già del pieno Rinascimento, che dopo numerose vicende si trova oggi al Museo d’arte di San Paolo del Brasile.
Vita di Raffaello Sanzio
Raffaello nacque nel 1483 a Urbino, unico figlio di Giovanni de’ Santi, un pittore, e di Maria di Battista di Nicola Ciarla. Il nome con cui oggi è conosciuto, “Raffaello Sanzio”, deriva dal nome con cui era solito firmare le proprie opere (“Raphaellus Sancti”, poi italianizzato in “Sanzio”). Sulla sua data di nascita circolano diverse leggende, atte a farla coincidere con il Venerdì Santo, che quell’anno cadeva il 28 marzo. Rimasto presto orfano di madre, Raffaello venne introdotto giovanissimo alla pittura nella bottega del padre, il quale era estremamente aggiornato sulla pittura contemporanea italiana ed estera e inoltre aveva accesso alle sale del Palazzo Ducale di Urbino, in cui erano custodite opere di Piero della Francesca, Antonio del Pollaiolo, Melozzo da Forlì e molti altri artisti. Alla morte del padre, il giovane Raffaello ebbe una maturazione artistica sorprendente ed ereditò in breve tempo la bottega paterna; allo stesso tempo, ebbe modo di frequentare, probabilmente in maniera saltuaria, la bottega del Perugino.
In breve tempo, la figura dell’artista si estese in tutta l’Umbria, a Firenze e Siena (nella prima vide le opere di Leonardo da Vinci e di Michelangelo Buonarroti, rimanendone affascinato; nella seconda strinse amicizia con Pinturicchio), nelle Marche e infine a Roma, dove grazie probabilmente alla raccomandazione di Donato Bramante ebbe modo di decorare i nuovi appartamenti fatti edificare dal papa Giulio II; nel frattempo, aprì un’importante bottega in cui lavoravano numerosi collaboratori, cui lasciava molto spazio. Alla morte di Bramante nel 1516, Raffaello, che nel frattempo si era fatto conoscere anche come architetto, ebbe la possibilità di dirigere i lavori per la costruzione della basilica di San Pietro, che tuttavia non portò a termine perché morì poco dopo, nel 1520, a trentasette anni, dopo quindici giorni di febbre e dopo aver dipinto la sua ultima opera, la Trasfigurazione. Anche la sua morte è oggetto di leggenda: pare che sia spirato di Venerdì Santo e che ci sia stato un piccolo terremoto, che produsse anche una crepa negli appartamenti papali. L’artista fu seppellito nel Pantheon, come aveva richiesto. Raffaello, che ebbe un’influenza potentissima su tutta la pittura del Tardo Rinascimento, lavorò sempre prendendo il meglio da tutti gli artisti che ebbe modo di conoscere.
La Resurrezione di Cristo
La Resurrezione di Cristo, detta anche “Resurrezione Kinnaird” dal nome di uno dei suoi proprietari, è un dipinto a olio su tavola, realizzato secondo il critico Roberto Longhi negli anni 1501-1502, identificati dagli storici dell’arte come il “periodo pinturicchiesco”, cioè il periodo in cui l’arte di Raffaello si avvicinò molto allo stile del Pinturicchio dello stesso periodo, con il suo gusto per le decorazioni minute e ricche di colori brillanti e luminosi che ricordano le miniature.

Raffaello Sanzio – Resurrezione di Cristo
Lo scopo originale del quadro è ignoto; le sue relativamente piccole dimensioni hanno fatto pensare alla critica che si trattasse di una predella, cioè della parte inferiore di una pala d’altare, oppure di un dipinto di piccolo formato per uso privato. Sul retro del quadro è stata trovata la scritta “Gioacchino Mignanelli”, che si ritiene sia stato il primo proprietario del quadro in quanto membro di un’importante famiglia di Siena.
Il soggetto deriva dall’omonimo quadro del Perugino (detto Resurrezione di San Francesco al Prato, di pochissimi anni anteriore), da cui riprende molti elementi, ma allo stesso tempo si distingue per molte differenze, per esempio per i dettagli del paesaggio (nel Perugino appena accennato), per la figura di Gesù Cristo che si libra in aria, per la maggiore resa tridimensionale del sarcofago da cui il figlio di Dio risorto esce, ma soprattutto per la diversa resa dei colori e la maggior cura, quasi miniaturistica, dei dettagli, che sono visibili anche in altre opere, come per esempio lo Sposalizio della Vergine, di pochi anni posteriore e che riprende anch’esso un soggetto già dipinto dal Perugino.
Al centro della scena è raffigurato Cristo sospeso liberamente nell’aria e circondato da due angeli che risorge dal sepolcro in cui era stato sepolto, tra lo sgomento delle guardie che avrebbero dovuto sorvegliare il corpo, disposte su più piani, sullo sfondo di un paesaggio brullo e spoglio con qualche raro albero, mentre da lontano si vedono le tre pie donne che arrivano a portare omaggio a Colui che ancora credono sia cadavere.
Cristo, avvolto da una veste rossa dall’orlo decorato che ne copre solo la parte inferiore e il braccio sinistro, ha in mano un vessillo crociato ed è raffigurato nel consueto gesto di pace. Sul suo capo è visibile l’aureola della santità, che invece non è presente nel dipinto del Perugino. Gli angeli che lo affiancano indossano uno una veste viola e l’altro una veste verde. In basso, al centro, si vede un sontuoso sarcofago su un piedistallo, ornato di marmi di diverso colore, colonnine e delfini d’oro, con il raffinato coperchio lievemente girato rispetto al sarcofago, a indicare che è stato aperto; lo stesso sarcofago, nel dipinto del Perugino, appare disegnato in maniera molto più schematica. Ai lati del sarcofago sono visibili tre guardie, abbigliate secondo il costume dell’epoca, di cui una porta una spada nel fodero, un’altra uno scudo rotondo e la terza un’asta; sul lato sinistro, ai piedi di una delle guardie, è visibile un serpente. In secondo piano, sul lato destro, si vede un’altra guardia che fa da contraltare a quella dispari del lato sinistro; anch’essa porta una canna e, così come la sua “gemella”, anch’essa indica Gesù risorto (anche nel Perugino c’erano quattro guardie, ma disposte in maniera speculare rispetto al quadro di Raffaello; inoltre, tre di esse appaiono dormire e soltanto la quarta si accorge del miracolo che sta avvenendo sotto i suoi occhi). Ancora più indietro, è visibile il sentiero tramite il quale stanno arrivando le pie donne, cioè la Vergine Maria, la Maddalena e Maria di Cleofa, abbigliate con lunghe vesti, che portano anch’esse l’aureola: le pie donne sono una pura innovazione di Raffaello, in quanto nel dipinto del Perugino non erano presenti. Sullo sfondo appare un paesaggio elaborato e piuttosto spoglio, che si estende su diversi piani prospettici. I personaggi del dipinto sembrano quasi comporre una coreografia, e appare evidente nelle linee ideali che collegano gli elementi del quadro la ricerca della simmetria, che contribuisce a convogliare su Cristo lo sguardo degli spettatori.
L’unico quadro di Raffaello dell’emisfero australe
La prima menzione sicura dell’opera risale al 1880, quando in una lettera lo storico tedesco Wilhelm von Bode la segnalò come possibile dipinto di Raffaello all’illustre critico d’arte Giovanni Battista Cavalcaselle, suo contemporaneo; von Bode aveva visto il dipinto nella collezione dello scozzese Lord Kinnaird. Tuttavia Cavalcaselle preferì non pronunciarsi sull’attribuzione del quadro. Negli anni Venti del Novecento, attribuito inizialmente da Umberto Gnoli al pittore Mariano di Ser Austerio, fu poi identificato come opera del Perugino dal professor Johan Quijrin van Regteren Altena. Intanto nel 1954 il quadro venne battuto all’asta da Christie’s e acquistato dal Museo d’arte di San Paolo del Brasile (MASP); l’allora direttore, Pietro Maria Bardi, prese per primo la responsabilità di dichiararlo autentico di Raffaello, ancora prima di vedere le lettere di Bode al Cavalcaselle e una serie di disegni preparatori ,che sarebbero stati scoperti in seguito. Roberto Longhi poi diede la sanzione definitiva all’attribuzione, e da allora la paternità di Raffaello dell’opera è stata accettata quasi all’unanimità dalla critica.