La notizia è nota. Il presidente Donald Trump, come è consolidata abitudine di tutti i presidenti (Obama ne usò più di 40) , ha chiesto al Museo Guggenheim un quadro di Van Gogh per le stanze private della Casa Bianca.

Landscape with snow, il quadro che Trump voleva nelle sue stanze
La curatrice Nancy Spector ha però rifiutato offrendo in cambio “America”, un cesso tutto d’oro opera dell’artista italiano Maurizio Cattelan.
Evidente la presa in giro e l’ironia della controfferta, ma formalmente nulla da eccepire: il Van Gogh e il Cattelan sono entrambe ritenute opere d’arte.

Il Wc d’oro di Cattelan
Certo il valore delle opere è differente: non meno di 80 milioni di euro per il Van Gogh e solo 1 milione di euro il Cattelan.
Ma la notizia ha acceso un’altra polemica laterale con fervidi sostenitori e fan di opposte opinioni. “America” (il cesso d’oro per intenderci) si può definire “Arte” ?
Il Museo lo ha esposto in pieno utilizzo e più di 150.000 visitatori hanno potuto avere questa straordinaria esperienza intima con “oro”, con tanto di inservienti specializzati che “dopo” provvedevano alla pulizia adoperando materiale adatto a non rovinare l”opera”.
Proviamo a fare chiarezza con le necessarie semplificazioni di ragionamento.
Vi sono due parametri legati alla considerazione di oggetti definiti “opere d’arte”. Il valore “artistico” e il valore economico.
Fino al 1800 tutto era più chiaro. L’arte produceva oggetti evidenti: quadri o statue. L’espressione artistica riprendeva la realtà così come la si vede, nei quadri gli uomini sono uomini, le cose sono cose: l’artista cerca di restituire al meglio la sembianza di ciò che vede. La fotografia ancora non esiste e sono chiari anche i rapporti produttivi, c’è un committente, una persona ricca, una istituzione o la chiesa che ordina l’opera all’artista. L’opera viene realizzata, l’artista viene pagato. Si crea un mercato tra ricchi e mecenati dove queste opere possono essere scambiate ed il valore parte dal costo originario seguendo poi le regole di un mercato elementare.
In questo caso i canoni di un’opera d’arte sono definiti. L’elite dei committenti e dei collezionisti è d’accordo e unanime su cosa deve essere un’opera d’arte e come deve essere realizzata. Per chi si discosta da questa consuetudine non esiste mercato e nessuno comprerà le sue opere. Anche se commissionata l’opera può essere rifiutata e l’artista o la corregge o non verrà pagato.
In questa fase l’elìte di collezionisti e committenti decide che cosa è un’opera d’arte.
Nel secolo che va dal 1800 al 1900 le cose cambiano. Nasce la fotografia e la necessità di “riprendere il reale” non è più prerogativa dei pittori. I pittori sono liberi così di sperimentare nuove forme espressive e la figura si trasforma fino poi a scomparire del tutto nell’arte astratta passando per impressionismo e cubismo.
Dall’Italia, il “centro” dell’arte passa in Francia, a Parigi. Al tempo stesso gli artisti tendono a rovesciare la procedura creativa. Non è più il committente a ordinare l’opera, ma il pittore decide cosa dipingere e dopo lo immette sul “mercato” sperando di vendere. Il mercato dell’arte si allarga a galleristi e mecenati che puntano su un pittore e lo sovvenzionano. A parte poche eccezioni, gli artisti stentano a vivere bene con la loro arte e spesso il successo e valutazioni economiche di rilievo si raggiungono dopo la morte.
Oltre agli appassionati e collezionisti entrano in gioco mercanti e speculatori che utilizzano l’arte per guadagni economici.
Nei primi anni del novecento alcuni artisti, oltre a dipingere, spiegano e teorizzano concettualmente il loro lavoro: si tratta di Vasilij Kandinsky e di Paul Klee in testa agli altri. Nei loro libri e nelle loro lezioni definiscono il perché del loro lavoro e dei loro quadri, proprio perché ormai astratti, colori, figure, quadrati o macchie ovvero nulla di direttamente visibile della realtà oggettiva.
Pur non rappresentando più la realtà, gli oggetti di mercato sono sostanzialmente gli stessi quadri in tela o in altro materiale da appendere al muro.
Ma dal momento che il pittore diventa anche teorico di se stesso e la sua opera si divide tra manufatti, oggetti, concetti e teorie espresse per iscritto, il passo successivo è la possibilità di eliminare la produzione dell’oggetto. Prendi una qualsiasi cosa e se sei un artista la firmi, la giustifichi, la contestualizzi e quell’oggetto diventa arte.
Esattamente l’operazione compiuta da Marcel Duchamp firmando un orinatoio. (La passione per le toilette a quanto pare è contagioso considerando che su questa falsariga anche l’italiano Piero Manzoni si produrrà in scatolette contenenti merda d’artista).
In questi anni il mercato si sposta in America, anche grazie alla presenza di artisti perfettamente integrati con questa nuova poetica. Andy Warhol, i dadaisti e così via. Senza la necessità di ancorare la propria comunicazione ed espressione a un prodotto che comunque richiederebbe un minimo di perizia tecnica, la libertà è totale. Elicotteri rovesciati, monumenti impacchettati, pupazzi di bambini impiccati e così via.
Per la nuova elìte finanziaria e artistica prodotti di questo tipo sono anche meglio, perché trasformano l’artista in performance e uomo di spettacolo. E come sappiamo gli americani di spettacoli se ne intendono.
Ma visto che con una gru chiunque è capace di rovesciare un elicottero e non solo Paola Pivi, chi definisce che lei è un’artista e quindi pagata per farlo e io no e quindi multato se lo faccio?
Esattamente gli stessi signori che l’hanno sempre definito: l’elite finanziaria economica committente. Sono cambiati i criteri, i prodotti, prima bisognava saper disegnare, oggi basta fare spettacolo. Ma il cosiddetto circuito dell’arte decide cosa è un’opera d’arte e cosa no, spesso facendo esporre nei musei oggetti tra i più curiosi (ovviamente senza dimenticare generose donazioni) e circondandosi di critici d’arte, filosofi e persone molto intelligenti a volte sovvenzionate sempre dagli stessi committenti.
Le opere di Cattelan, come di tanti artisti contemporanei, sono di denuncia sociale e mettono in risalto un problema, ma sono più vicine ad un atto di spettacolo che a un’opera d’arte.
L’indispensabile semplificazione, sintesi a cui un articolo mi obbliga, indica sicuramente che il discorso non è completo e si può prestare a precisazione critiche e opinioni diverse del tutto accettabili. Del resto da Nietzsche a Benjamin fino a Giulio Carlo Argan, molti intellettuali hanno dichiarato che l’arte è morta. Sono invece rimasti molto vivi i ricavi dei commercianti d’arte e gli incassi di alcuni loro beniamini, a cui basta impacchettare un palazzo per incassare delle somme ragguardevoli.