Probabilmente il dipinto più famoso del genio rinascimentale Leonardo da Vinci (Gioconda a parte, naturalmente) è l’Ultima cena, che si trova su una parete dell’ex refettorio del convento del santuario di Santa Maria delle Grazie, a Milano. Il dipinto, riconosciuto patrimonio dell’Unesco nel 1980, ha avuto una storia travagliata, sia nella realizzazione sia, soprattutto, per quanto riguarda la conservazione.
Leonardo: un genio dai mille volti
Leonardo, figlio illegittimo del notaio Piero da Vinci e di Caterina, entrambi di modesta estrazione sociale, nacque nel 1452 ed entrò giovanissimo nella bottega fiorentina di Andrea del Verrocchio, famoso pittore, scultore e orafo amico del padre. Oltre che allo studio della pittura e della scultura, si dedicò alla carpenteria, all’ingegneria e allo studio delle scienze naturali.
Dopo le prime opere fiorentine, Leonardo si trasferì a Milano, inizialmente come ambasciatore di Lorenzo de’ Medici, poi deciso a rimanere alla corte di Ludovico Sforza. Lì Leonardo realizzò numerose opere d’ingegneria, un grandioso spettacolo per le nozze di Gian Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona, il progetto per la statua equestre in bronzo di Francesco Sforza (mai realizzata) e, infine, l’Ultima cena, mostrando tutte le sue capacità di artista poliedrico.
Dopo l’occupazione di Milano da parte delle truppe francesi, Leonardo cominciò una fase di peregrinazioni in tutta Italia, fase durante la quale dipinse la famosa Gioconda, che oggi si trova a Parigi. In seguito lavorò a Milano ormai sotto il dominio francese, poi a Roma e nuovamente a Milano, per poi morire in Francia nel 1519.
L’Ultima cena di Leonardo
L’Ultima cena venne iniziata nel 1494. Si tratta di un dipinto a tempera grassa che doveva decorare il refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie, che era stato appena ristrutturato. Nelle intenzioni dei committenti si sarebbe dovuto trattare di un affresco, ma Leonardo, che non amava quel modo di dipingere in quanto poco adatto al suo stile pittorico fatto di numerosi ripensamenti – nella pittura “a fresco”, infatti, i colori devono essere stesi rapidamente in modo da venire incorporati nell’intonaco, asciugandosi –, utilizzò una tecnica tipica della pittura su tavola: dopo aver realizzato un disegno preparatorio, stese sulla parete uno strato di biacca (un tipo di vernice a piombo) per far risaltare i colori e poi utilizzò la tempera a secco, in modo da poter realizzare un dipinto estremamente analitico e dettagliato, con tutto il tempo necessario.
La scena rappresenta un soggetto del tutto tradizionale, cioè l’ultima cena di Gesù Cristo prima della sua passione, contornato dai suoi dodici apostoli, così come l’episodio viene narrato nel Vangelo di Giovanni. Tuttavia, nonostante il tradizionalismo del soggetto, Leonardo inserisce diverse innovazioni.
Per esempio, invece di rappresentare come di consueto il momento dell’eucarestia, il pittore preferisce mostrare il momento in cui Gesù rivela agli apostoli che uno di loro lo avrebbe tradito. Cristo appare seduto al centro, quasi isolato fra gli apostoli, mentre forma una piramide con la sua testa e le sue braccia appoggiate sul tavolo, con la bocca ancora semichiusa, come se avesse appena finito di parlare.

Ultima cena di Leonardo – Particolare
Egli sembra essere l’asse centrale della composizione, dal cui si dipartono le vie di fuga della prospettiva. Alle sue spalle, dalla finestra s’intravede un paesaggio montano, che alcuni critici hanno identificato come una zona del lago di Como. Tutti i personaggi appaiono privi della classica aureola, ma Gesù, grazie a un gioco di luci, appare quasi circondato da un’aura di luce naturale che forma un cerchio illusorio partendo dalla lunetta in penombra sopra la finestra alle sue spalle. Anche la luce che illumina il quadro partendo dal lato sinistro è realizzata in modo da confondersi con quella che doveva penetrare dall’esterno nel refettorio tramite le finestre originarie, poi murate.
Un’altra novità è la rappresentazione estremamente realistica degli stati d’animo dei discepoli, che sembrano colpiti dalla rivelazione appena fatta loro. Gli apostoli che circondano il Messia appaiono divisi in due gruppi di sei, ognuno dei quali ulteriormente divisibile in due, e sono disposti tutti dallo stesso lato del tavolo per essere più visibili allo spettatore mentre reagiscono in maniera diversa alla rivelazione del tradimento: c’è chi (Giuda) rovescia la saliera per la sorpresa di essere stato scoperto e per la tensione del momento, chi impugna il coltello per farsi giustizia da sé (il focoso Pietro)… Sembrano quasi disposti a ondate successive, in cui i moti dell’animo pian piano si stemperano, diventando man mano meno violenti verso i lati, e l’artista si sofferma ad analizzarli uno per uno. Leonardo, che era anche uno studioso di fisiognomica, non esitò a inserire nei volti dipinti i risultati delle sue ricerche. Anche per quanto riguarda le mani dei personaggi, il pittore compì studi accuratissimi, per rappresentare le domande incalzanti che ciascuno dei discepoli pone a sé stesso, ai compagni e a Gesù: il grande scrittore Johann Wolfgang von Goethe, commentando il quadro, scriverà nel 1817 che quello delle mani è un espediente «al quale […] soltanto un italiano poteva ricorrere». I sentimenti espressi dai discepoli, in definitiva, sembrano indicare quelli della totalità dell’umanità, cui del resto il numero “12” dei discepoli, carico del significato simbolico della pienezza, rimanda.

Ultima cena di Leonardo
Due degli apostoli maggiormente degni di nota per come sono raffigurati sono Giuda e Giovanni. Giuda il traditore, infatti, non è rappresentato in disparte, isolato dagli altri come nell’iconografia tradizionale, ma è in mezzo ai discepoli. Probabilmente questo modo di dipingerlo è stato ispirato dai principi dell’ordine domenicano, cui il convento e dunque il refettorio apparteneva, poiché essi danno estrema importanza al concetto di libero arbitrio; è anche vero, tuttavia, che in alcune rappresentazioni rinascimentali Giuda appariva con l’aureola al pari degli altri discepoli. Il personaggio di Giovanni è anch’esso degno di nota. Rappresentato con fattezze quasi femminee (tanto da ispirare negli studiosi e non numerose congetture, tra cui quella del romanziere Dan Brown, il quale ha azzardato che in realtà Giovanni sarebbe Maria Maddalena, amante di Gesù), Giovanni è vestito in maniera speculare a Cristo e con lineamenti estremamente giovanili. Un’altra figura interessante è quella di Tommaso, il quale appare inserito nella scena in maniera un po’ posticcia e sproporzionata: sembrerebbe, infatti, che sia stato aggiunto successivamente a causa di una dimenticanza di Leonardo.
Le vicende della conservazione e il restauro
Appena finito il dipinto, iniziarono già a manifestarsi i danni che ne avrebbero inevitabilmente compromesso lo stato di conservazione. Lo stesso Leonardo vide una prima crepa di danneggiamento, mentre appena venti anni dopo la realizzazione Giorgio Vasari scrisse che del dipinto non rimaneva altro che una “macchia abbagliata”. La motivazione principale era la forte umidità del luogo e i continui sbalzi di temperatura, dovuti alla contiguità della cucina e al calore dei cibi che venivano serviti nel refettorio. Trasformato in bivacco dalle truppe napoleoniche di stanza a Milano all’inizio dell’800, l’ambiente venne quasi interamente distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, mentre il dipinto rimase miracolosamente intatto. Nel 1977 un’équipe di scienziati e di restauratori cominciò un delicatissimo progetto di restauro, che sarebbe durato vent’anni: il compito dell’équipe era di eliminare tutte le ridipinture che si erano succedute nei secoli, di ricostruire il disegno originario (anche avvalendosi delle numerose copie realizzate dagli allievi di Leonardo) e di restituire al dipinto l’antico splendore. Dopo la nomina a patrimonio Unesco, il dipinto è stato oggetto di visite turistiche provenienti da tutto il mondo, tanto che oggi bisogna prenotare con molto anticipo sul sito dedicato al Cenacolo per riuscire a vederlo da vicino.