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  • Villa Durazzo Pallavicini a Pegli, Genova. I segreti
Vittorio Russo Delmonte
Vittorio Russo Delmonte
martedì, 05 Giugno 2018 / Pubblicato il News

Villa Durazzo Pallavicini a Pegli, Genova. I segreti

Villa Durazzo Pallavicini è stata recentemente insignita del titolo di parco più bello d’Italia: un primato non da poco che premia il complesso lavoro di ripristino effettuato negli ultimi anni dall’amministrazione comunale, in collaborazione con le Belle Arti, per riportare il giardino al suo antico splendore.

Situata nel quartiere ponentino genovese di Pegli, la Villa costituisce una validissima meta per una gita che risulti essere culturale e allo stesso tempo rilassante.

Si parla di una villa in stile neoclassico edificata sulla precedente struttura settecentesca appartenuta a Giovanni Battista Grimaldi che fu doge tra il 1752 e il 1754 della Repubblica di Genova. Passata di mano la proprietà per via di matrimoni vari con altre facoltose famiglie patrizie quali Durazzo e Pallavicini, il palazzo ospita il Museo di Archeologia ligure il quale, fra i numerosi reperti, offre ai suoi visitatori un paio di vere e proprie perle: la Tavola bronzea del Polcevera del 117 a. C. (il più antico documento della storia della città, N.d.R.) ovvero una sentenza che attesta i rapporti di Genova con Roma ed una copia del Proembolon, il bronzeo rostro romano a testa di cinghiale rinvenuto nel porto di Genova nel 1597 che fa parte, insieme alla corona dogale, ai Grifoni e allo scudo di San Giorgio, dello stemma cittadino.

Ma è il parco il principale motivo d’interesse, grazie al suo giardino botanico realizzato nel 1794 dalla marchesa Clelia Durazzo, appassionata cultrice della materia, arricchito con specie vegetali esotiche di ogni sorta raccolte dalla nobildonna nei frequenti viaggi all’estero.

Villa Durazzo Pallavicini

Villa Durazzo Pallavicini consente di vivere un incredibile viaggio tra magia e mistero unico nel suo genere.

Fu il nipote Ignazio Pallavicini ad affiancare all’ “Horto Grimaldino” di Clelia, tuttora visitabile, il grande parco romantico noto in tutta Europa. Ignazio intendeva così non solo arricchire la villa d’un parco nel quale poter spendere dei momenti piacevoli ma anche che quest’ultimo riflettesse il suo modo di concepire il mondo, le sue riflessioni filosofiche, le sue esperienze culturali, le proprie conoscenze storiche e letterarie di vero erudito.

Villa Durazzo Pallavicini a Pegli, una meta imperdibile tra magia e sogno.

Suo desiderio era infatti di condividere questo percorso tra suggestioni filosofiche, letterarie, mitologiche, botaniche ed esoteriche con chiunque l’avesse visitato, tanto che il progetto prevedeva anche l’organizzazione di visite guidate per gli ospiti. Per raggiungere il suo obiettivo il Pallavicini nel 1840 si rivolse ad uno dei maggiori scenografi del tempo, l’architetto Michele Canzio (curatore anche del Teatro Carlo felice di Genova, N.d.R.) al quale affidò il progetto: servirono ben sei anni per portarlo a termine ed arrivare dalla scienza botanica di Clelia alle fantasie, suggestioni e nozioni storiche, filosofiche artistiche in un ipotetico “continuum” del sapere romantico e razionalistico volute dal nipote.

Il marchese concepì quindi il nuovo spazio come un percorso teatrale suddiviso in quattro diverse scene corrispondenti ad altrettanti luoghi reali del parco ciascuna delle quali suddivisa in tre atti. Un viaggio simbolico nell’anima che dalle tenebre accompagna il visitatore alla luce attraverso la conoscenza.

Labirintici boschetti, templi pagani, pagode, castelli medievali, fontane, laghi, cascate e giardini hanno quindi il duplice scopo sia di appagare che di formare e purificare il visitatore, concependo il parco come un viaggio di tipo dantesco dagli inferi al Purgatorio. Ignazio Pallavicini, infatti, essendo membro della Massoneria immaginava gli otto ettari rivolti verso il mare del suo scenografico parco come un cammino virtuale verso la rinascita, raggiunta grazie all’illuminazione della ragione, dell’amore e della solidarietà in ossequio alla regola dell’associazione di cui faceva parte:

“Se avrai la forza di perseverare, uscirai purificato e vedrai la Luce“, tanto da divenire “luogo che risponde in tutto e per tutto a questo agognato raggiungimento“.

Il viaggio iniziatico all’interno del parco comincia con l’inquietante presenza di due statue di cani feroci. Entrambe le sculture poste a guardia e a monito sulle colonne dell’ingresso sono opera di Giovanni Battista Cevasco e indicano l’accesso al viale Gotico.

Subito, percorrendolo, s’incontra un edificio medievale (la tribuna gotica), da cui si prosegue attraverso una buia boscaglia “la selva oscura” di dantesca memoria che costituisce il prologo del dramma teatrale pensato dal marchese al fine di rendere i visitatori non solo spettatori ma anche protagonisti.

Perdersi nel verde che rigoglioso cresce lungo tutto il percorso è una delle peculiarità più interessanti di questo viaggio nel parco.

Imboccata la stradina compare l’edificio neoclassico della Coffee House, decorato con quattro statue di Carlo Rubatto (Ebe, Flora, Leda e Pomona), che introduce all’armonia del viale Classico all’italiana abbellito con fila di piante in vaso e con al centro una coreografica fontana, superata la quale s’intravvede un “Arco di Trionfo” adornato da statue di G.B. Cevasco recante l’epigrafe:

Valete urbani labores / Valete procul animi impedimenta / Me supera convexa et sylvae et fonteis / Et quid quid est altiora loquentis naturae / Evehat ad Deum (“Addio, preoccupazioni della città! State lontani, affanni dell’anima! Il cielo, i boschi, le fonti e tutto ciò che di sublime esiste nella natura mi elevano a Dio”). 

L’arco segna l’inizio ideale di un passaggio che l’anima deve compiere per ritrovare se stessa attraverso il viaggio nel parco.

Con questo monito e invito si conclude così il prologo del dramma ed inizia il vero e proprio tracciato.

Primo Atto, prima scena: Ritorno alla natura

Superata una breve scalinata che porta ad un innocente boschetto si è testimoni di una magia: voltandosi l’arco non c’è più. Esso si è trasformato in una casetta di campagna, detta dell’Eremita”, costruita in pietra con le tegole del tetto in ardesia.

Il bucolico paesaggio attorno celebra la natura in tutto il suo splendore: dalla macchia mediterranea alle palme esotiche, dall’araucaria dell’America del Sud alle caduche camelie dell’estremo Oriente. A proposito di camelie, il parco ne annovera, fra l’altro, una delle più antiche raccolte europee esistenti e vi ha destinato un apposito spazio: il celeberrimo “Viale delle Camelie” i cui ottocenteschi esemplari continuano ogni primavera a sbocciare in un tripudio di profumi e colori.

Seconda scena: Parco dei divertimenti

Sono qui presenti alcune giostre originali ottocentesche che, dopo aver fatto pace con la natura, consentono di tornare a vivere emozioni con la purezza e la meraviglia di un bambino.

Terza scena: Il Lago Vecchio

Dopo un breve ma meritato riposo si sale su per la collina fino a raggiungere il Lago Vecchio per immergersi simbolicamente nelle sue acque torbide, nelle quali, all’ombra della rigogliosa vegetazione, sguazzano sereni i pesci, a significare appunto l’azione purificatrice dell’acqua.

Quarta e ultima scena del primo atto: La sorgente

L’incontro con la polla pura e non più torbida con la sua azione rigeneratrice rende l’adepto pronto per allontanarsi dalla materia. Recuperata dunque a pieno la nostra dimensione naturale, è arrivato il momento, per meglio approcciarsi al futuro, di riflettere sul passato con sguardo rinnovato.

Purificati e rinati con novello spirito si può ora godere del panorama sul mare, immaginando con un piccolo sforzo quale emozione doveva suscitare questo momento a quel tempo quando la vista era totalmente libera e non incontrava le palazzine del quartiere di Pegli, l’aeroporto e le industrie dell’area portuale.

Dal parco è possibile visionare dall’alto l’intera città e lo stupendo mare che la bagna.

Prima scena secondo atto: Il Recupero della storia

Proseguendo nella passeggiata ad un certo punto, prima di  entrare in un antico borgo di un feudo medievale, ecco apparire le rovine di una piccola cappella di Maria con l’edicola gotica, che ricovera un’immagine della Vergine dipinta da Giuseppe Isola.

Seconda scena secondo atto: La Capanna svizzera ultima testimonianza del villaggio medievale.

Si incontra ora un edificio recentemente restaurato chiamato, per via del suo bucolico aspetto, “capanna svizzera“: una casa dal trascurato profilo che volutamente suggerisce lo stato di abbandono del borgo devastato da un precedente assedio e che costituisce quindi l’ultima testimonianza di uno scomparso villaggio medievale.

Terza scena secondo atto: Castello del Capitano

Il Castello del Capitano è una costruzione evocativa che rappresenta la forza e la potenza di chi ha vissuto senza mai arrendersi.

Giunti alla sommità del colle si deduce che il borgo oggi non più esistente era governato da un valoroso Capitano, che abitava nel castello ora diroccato: il marchese volle farlo costruire da Canzio secondo il tipico immaginario ottocentesco del castello medievale e quindi con un’alta torre, le merlature, le vetrate colorate ed il ponte levatoio.

Un interno incredibile in cui i colori e gli effetti ottenuti dalla luce battente lasciano senza fiato.

Osservando gli ambienti del castello si percepisce quanto il Capitano avesse perseguito in vita la gloria e quanto si fosse di circondato di agi e piaceri, ma allo stesso tempo anche con quanta forza avesse cercato di difendere il suo castello e il suo borgo contro i feudi rivali: salendo ancora nella collina di fronte a noi, si vede in lontananza un altro castello (in realtà si tratta di una casa colonica abilmente camuffata da Canzio, N.d.R.), a simboleggiare le lotte intraprese dal Capitano contro i suoi nemici.

Quarta scena del secondo atto: La Morte

Ammirando il mausoleo del Capitano si comprende come l’Eterna Consolatrice abbia sancito la fine delle ambizioni di gloria e di ricchezza del condottiero e abbia gettato nell’oblio il suo borgo, abbandonato in balia del tempo.

Comunque sia andata alla fine cosa è rimasto di tutto ciò se non l’infinita vanità del tutto? “Sic transit gloria mundi” ma è un passaggio obbligato del nostro spirito per comprendere e recuperare l’importanza del ruolo della storia.

Terzo atto: Catarsi

Prima scena del Terzo atto: Discesa inferi

In origine il percorso prevedeva la presenza di un marinaio, un apposito Caronte che, sopra una barchetta proprio come nel viaggio dantesco, traghettasse il visitatore all’interno delle grotte del parco come metafora del peccato e ultima occasione di pentimento e redenzione.

Seconda scena del Terzo Atto: Il Lago Grande

All’uscita delle grotte il processo di purificazione dell’anima è finalmente terminato e si giunge al Lago Grande, ovvero il Paradiso dove s’incontrano le anime degli eletti, degli illuminati e dei beati di tutto il mondo.

E’ questo l’ambiente principale del parco dove, a sottolineare l’universalità di tale idilliaco ritrovo, si notano architetture tipiche d’ogni parte del mondo: il ponte romano, l’obelisco egizio, il chiosco turco, la pagoda, insomma la summa del sapere umano.

Il parco offre, in questa sezione, importanti testimonianze di altre culture, ricreate appositamente per volontà dei Pallavicini.

Al centro, il tempio di Diana (la sua statua spicca al centro dell’edificio, N.d.R) attorniato da figure di divinità marine scolpite da Cevasco è simbolo di libertà e di fratellanza, ma anche della continuità di presente e passato e dell’ormai ritrovato rapporto tra l’uomo e la natura.

Il tempio di Diana è unico nella sua magia estetica e spirituale: senza dubbio una delle attrazioni più importanti dell’intero parco.

Terza scena del Terzo atto: I giardini di Flora

All’improvviso si entra in un rigoglioso viridario al centro del quale si staglia una ninfa, anch’essa scolpita da Cevasco, che spande i suoi fiori. Come alla fine di un bel sogno il risveglio avviene in un paradiso terrestre al quale la nostra anima è infine giunta e felici e rilassati si è pronti per affrontare la quarta e ultima scena del nostro viaggio interiore.

Quarta scena del Terzo atto: La Rimembranza

In quest’ultima zona del parco troviamo il monumento al poeta ligure Gabriello Chiabrera e quello a Michele Canzio, che con la loro opera sono divenuti immortali. Il dramma termina con una serie di giochi d’acqua che accompagnano verso l’uscita. Che sia stato tutto uno scherzo? Oppure un invito a prendere la vita con il sorriso?

Dal 1928 per volere di Matilde Giustiniani, discendente del marchese Ignazio Pallavicini, lo splendido complesso di Villa Durazzo Pallavicini appartiene al Comune di Genova: la nobildonna infatti sognava che il parco fosse accessibile alla cittadinanza e, in cambio di questa promessa, lo donò alla città. Un sogno che continua più splendente che mai.


Visita con guida specializzata, durata 2 ore e mezza, lunghezza percorso 2,7 km,  costo 20 €.
Venerdì, sabato e domenica ore 10:00 e ore 15:30.
Prenotazione obbligatoria al +39 393 8830842.

dal 23 settembre al 25 settembre
venerdì, sabato e domenica alle 10:00 e alle 15:30

Villa Durazzo Pallavicini
Via Ignazio Pallavicini 11
393 883 0842

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